Milano | 100 anni della Grande Milano, quando le periferie erano paesi: le frazioni e Turro

Dopo avervi mostrato e raccontato un po’ di storia dei borghi che oggi formano le periferie di Milano, quando cent’anni fa gli undici Comuni vennero annessi nella Grande Milano, diventando periferie (i comuni in questione erano: AfforiBaggioChiaravalle -anche se questo Comune venne smembrato in favore di San Donato-, Crescenzago, Gorla Precotto, Greco Milanese, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno e Vigentino), in questo nostro articolo vi parleremo dei rimanenti “lembi” di terra che Milano strappò ai comuni limitrofi per “arrotondare” il confine comunale.

Le “frazioni” o porzioni di comuni confinanti furono: Lorenteggio, Ronchetto sul Naviglio, Triulzo Superiore e Morsenchio. Mentre Turro, antico Comune indipendente, era già parte di Milano dal 1918, quando si fuse col “peduncolo” delle Rottole.

Turro

Cominciamo Proprio con Turro, il piccolissimo paese poco a Nord di Loreto e steso tra viale Monza e via Padova.

Le prime informazioni documentate sull’insediamento di Turro risalgono al 1489. Tuttavia, già nel primo millennio, esisteva un luogo chiamato “Tauris Turris”, la Torre del Toro, situata alle porte di Milano, come indicato in antiche carte. Questo luogo, molto probabilmente, rappresenta il primo nucleo che alla fine si sviluppò nell’attuale Turro. Il nome suggerisce la presenza iniziale di una torre difensiva o di avvistamento, intorno alla quale vennero costruite abitazioni che col tempo costituirono il primo nucleo del villaggio.

Nel 1751, Turro venne registrato come un villaggio di 220 abitanti. Nel corso del tempo, però, subì la competizione dei paesi circostanti, tanto che durante l’età napoleonica nel 1805 la popolazione era scesa a 160 abitanti. Il 9 febbraio 1808, insieme ad altri 34 comuni, Turro venne annesso a Milano, ma questa unione fu breve. Con la fondazione del Regno Lombardo-Veneto nel 1816, Turro riacquistò l’autonomia dal capoluogo.

Nel 1848, dopo le Cinque giornate di Milano, gli austriaci lasciarono la città e a Turro si riunirono i membri del governo provvisorio della Lombardia (ed ecco perché la piazza principale del rione porta questo toponimo). Nel 1864, il comune assunse il nome di Turro Milanese. Nel XX secolo, con l’insediamento di diverse industrie, Turro sperimentò un notevole aumento demografico, passando dai 555 abitanti del 1901 ai 7883 del 1911. Nel 1918, durante la guerra, il comune fu aggregato a Milano, principalmente a causa di problemi amministrativi e di gestione, rimanendovi.

Negli anni ’20, Turro fu sempre più integrato a Milano, diventando di fatto un quartiere periferico. Da area prevalentemente rurale, con corsi d’acqua come l’Alta Veggia, Turro si trasformò in un polo industriale e un serbatoio di manodopera per le grandi industrie che si svilupparono nei dintorni, facilitate anche dalla vicina Stazione Centrale.

Il territorio che fu il Comune di Turro si estende oggi nell’area che va da viale Monza e via dei Transiti, tutta via Leoncavallo, via Petraccone, dove si trova la chiesa di San Giovanni Crisostomo in via Padova, poi lungo la Via Agordat fino alla Martesana e poi nuovamente verso viale Monza dove si trova la stazione della M1 Turro.

Turro è anche il Parco del Trotter, che prende il nome dalla Società Nazionale del Trotto, che impiantò sull’area un ippodromo rimasto in attività dal 1906 al 1924, quando fu spostato a San Siro. successivamente, il Comune di Milano vi costruì una scuola per bambini a rischio di tubercolosi, chiamata “Casa del Sole”. Venne mantenuta la conformazione originale del Parco tanto che ancora oggi passeggiando per il parco è perfettamente riconoscibile l’ovale del galoppatoio, adesso asfaltato, dove giravano i cavalli. Oggi è uno dei più amati parchi di Milano.

Nel vecchio borgo non poteva mancare una graziosa chiesa, Santa Maria Assunta in Turro, un edificio del 1500 rimaneggiato pesantemente nel 1885. Nel 1952 venne nuovamente, ampliata vista l’espansione demografica del rione, trasformando il transetto in un più ampio spazio moderno. La facciata ha ancora l’aspetto neoclassico.

Sempre in quel che fu Turro, ebbe inizio la prima Hollywood meneghina, che in pochissimi conoscono. Fu infatti qui che nel 1907, il fotografo Luca Comerio fondò una casa di produzione che nel 1908 si associò con la SAFFI. Cambiando nuovamente nel 1909 diventando la Milano Films. Così Comerio fa costruire a Turro nell’odierna via Bolzano, uno dei teatri di posa più imponenti d’Europa (70 metri x 25), la cui copertura in vetro venne ricavata dalla dismessa tettoia della stazione ferroviaria di Roma Trastevere, il tutto su un’area di 22.000 m². Ma già dal 1911 acquisendo alcuni capannoni in via Baldinucci, Comerio trasferì l’industria cinematografica in quel di Dergano espandendosi ulteriormente, lasciando definitivamente Turro.

Oggi Turro vuol dire case di ringhiera, viale Monza e via Padova, col loro mix etnico fatto di gente del Magreb, africana, del Sud America e asiatica, coi loro molteplici problemi, sopratutto attorno alle vie Chavez e Mosso. Molti ormai, sopratutto la parte a meridione della ferrovia lo identificano, anche perché fa figo, col distretto di NoLo, peccato, perché Turro merita più memoria e rispetto.

Lorenteggio

Il Lorenteggio venne “strappato” al Comune di Corsico per diventare periferia di Milano cent’anni fa, ecco perché non rientra nei “comuni” aggregati, ma nei “territrori”.

Le origini sono ancora incerte, sicuramente formato da diversi nuclei di cascine, Lorenteggio, il cui nome antico era Laurentiglio (dal latino tardomedievale laurus, lauro), viene citato come Comune solo nel 1751, ma la presenza in zona di una “villa” sorta in epoca viscontea chiamata appunto Laurentiglio, porta la formazione del borgo assai lontana.

Il Comune a metà Settecento comprendeva le cascine e frazioni di: Travaglia, Molinetto, Gesiolo di Robarello. Una sessantina d’anni dopo, nel 1808, il Comune di Lorenteggio venne soppresso e incluso nel Circondario esterno del Comune di Milano, ma poi, secondo quanto disposto dal Compartimento territoriale delle province lombarde del regno Lombardo Veneto, nel 1816, il Comune di Lorenteggio venne nuovamente ricostituito e, successivamente, con dispaccio governativo del 15 agosto 1841 il Comune di Lorenteggio fu definitivamente soppresso e aggregato al Comune di Corsico, per avere poi una definitiva configurazione nel 1923 suddiviso e passato in parte al Comune di Milano e in parte rimasto nel Comune di Corsico.

Il Palazzotto del Lorenteggio, la parte più antica ancora percepibile della vecchia Lorenteggio, è un bell’edificio barocco appartenuto già alla famiglia Corio e poi passato ai Durini. Venne realizzato nel 1670 sui resti di un fortino cinquecentesco. Oggi il “Palazun”, com’era chiamato un tempo dai vecchi milanesi, si trova decontestualizzato, lungo la via Lorenteggio, circondato da palazzi per uffici e supermercati (Lidl a lato e l’Esselunga di fronte), oltre ad una stazione di benzina. Povera villa così maltrattata e dimenticata.

Nel vecchio territorio si trova oggi, parte del quartiere popolare del Giambellino, la stazione FS e futura M4 di San Cristoforo (sarebbe stato più giusto l’avessero chiamata Lorenteggio, ma come ben sappiamo, i nomi delle stazioni son stati dati apparentemente a “caso”), il grandioso palazzo della Vodafone e quasi tutto il quartiere per uffici di Via Giovanni Bensi (nelle foto a seguire).

Ronchetto sul Naviglio

Anche Ronchetto sul Naviglio come Lorenteggio venne strappata da un altro comune per diventare periferia di Milano. Nel 1870 Ronchetto divenne frazione di Buccinasco ma come abbiamo visto, anch’esso come Lorenteggio, nel 1924 venne distaccata da Buccinasco e aggregata a Milano per diventare periferia della grande metropoli. Il nome deriva da una cascina il cui nome in dialetto è “Ronch”, ovvero terra sarchiata, campo arabile.

A Ronchetto sul Naviglio ebbe luogo uno dei pochi veri scontri a fuoco di una certa entità il giorno della Liberazione il 25 aprile 1945: un nucleo di partigiani della 113ª brigata Garibaldi bloccò una grossa autocolonna tedesca in ritirata. Nello scontro si ebbero tre vittime, Domenico Bernori, Idelio Fantoni e Giovanni Paghini, e tre feriti.

Il nucleo storico del Ronchetto che si affaccia sul Naviglio Grande, si presenta con la neoclassica chiesa di San Silvestro, eretta nel 1813 e che si affaccia, con un brutto sagrato, proprio sul Naviglio Grande.

In via Merula, all’interno del quartiere sorge invece la Cascina Corio: edificio che si fa risalire al Cinquecento, come attestato da una targa marmorea con lo stemma araldico dei Corio, originariamente infissa sopra il portone di ingresso al fabbricato e, dopo l’Ottocento, collocata all’interno della casa, dall’allora proprietario G. Beltrami.

Recentemente al Ronchetto è stato realizzato il deposito ATM per la linea M4 e che dal 2024 giungerà sino alle porte del quartiere, con la stazione San Cristoforo. Al contempo è anche in fase di realizzazione un ponte ciclo-pedonale che renderà collegata la zona di Ronchetto con la zona del Lorenteggio e piazza Tirana.

Triulzo Superiore

Luogo ormai sconosciuto e sparito dalla memoria collettiva di quasi tutti, Triulzo Superiore viene menzionato ancora su qualche mappa (compresa la nostra). Si tratta di un piccolo lembo di terra al confine col Comune di San Donato Milanese dove oggi sorge il deposito della M3 e la stazione della gialla di San Donato (Triulzo quindi sarebbe stato più appropriato come nome della stazione).

L’origine etimologica del toponimo di Triulzo è certamente un riflesso della voce latina “trifurcium”, che significa crocicchio di tre strade. Si può pertanto dedurre che in epoca romana in quei luoghi ci fosse un cippo che corrispondeva al sistema di coordinate tracciate dall’agrimensore a partire dal cardo e dal decumano (via Emilia), le due strade principali della pianta cittadina romana. Il territorio di Triulzo si estendeva dalla riva destra del Lambro fino alla strada Romana, la via Emilia, a dal territorio di Morsenchio, dove ora corre la tangenziale, a Bolgiano.

La zona era poi suddivisa in: Triulzo superiore a nord della Strada Comunale per Triulzo che collegava la via Mantovana, la Pullese, alla via Emilia, cioè l’attuale via Marignano, con la scomparsa Chiesa di San Siro e la Cascina Brivio poi Castelbarco Litta Albani; Triulzo inferiore a sud della Comunale con la Casa Nobile dei D’Adda (ora Cascina Moro), la scomparsa Casa delle Monache di San Pietro Martire, la Chiesa di Santa Croce con la corte del Beneficio e Casa Melzi. In un documento datato 1282 risulta che una parte del territorio di Triulzo venne acquistata dalle Monache Umiliate della Casa di Cambiago in San’Eufemia di Milano. Ma anche altre isituzioni religiose risultano a quei tempi proprietarie di terreni: l’Hospitale di San Lazzaro, la Chiesa di San Nazzaro in Brolo, l’Hospitale Brolo. Anche l’Arcivescovo Ottone Visconti, proprietario di terreni e case sparsi nei territori di Triulzo e Bolgiano, li donò all’Ospedale Novo e, nel suo testamento del 1292, stabilì che i proventi della vendita dei suoi beni servissero per la costruzione di uno “Spedale in San Donato” gestito dall’Ospedale Novo. Alla costruzione dell’Ospedale Maggiore (1456) tutti gli hospitali religiosi di Milano con le loro proprietà vennero assorbiti da una nuova istituzione laica, che nel 1533 vendette alla famiglia D’Adda terre e beni di Triulzo. L’ex Oratorio di Santa Croce, attualmente sconsacrato, viene utilizzato per concerti e altre manifestazioni.

Il territorio di Triulzo venne spezzato in due, una parte rimase al Comune di San Donato, mentre la parte Nord, quella di Triulzo Superiore, venne passata a Milano nel 1923, per “arrotondare” il nuovo “asseto” del confine comunale di Milano, segnandone la sorte.

Nel suo territorio oggi possiamo trovare, oltre alla stazione M3 San Donato, il “borgo” di San Martino lungo la via Emilia, la Cascina che ha dato il nome al borgo, l’enorme svincolo della tangenziale Est per Paullo e la parte meridionale del quartiere di Ponte Lambro.

Morsenchio

Come spesso diciamo, certi nomi vanno sempre più a sparire (e in queste pagine ve ne abbiamo già citati parecchi), così è anche il destino di quest’antico borgo, Morsenchio, trasformato in periferia e poi invaso dal vicino e ancora da divenire, Quartiere Santa Giulia.

Oggi Morsenchio è ristretto, per quei pochi che lo sanno, alla via Bonfaldini. Un tempo copriva l’area che oggi è occupata da Rogoredo, dall’unica parte di Santa Giulia completata, gli edifici Sky, tutta l’area del Quartiere Merezzate, sino al fiume Lambro, comprendendo il borgo di Ponte Lambro.

Il nome Morsenchio, o meglio Murcincta, (in milanese Morsencc) lo troviamo in una pergamena dell’anno 1039 relativa ad una trattativa di compravendita di terreni. Il primo nucleo di Morsenchio sorge ad opera degli Umiliati che fondano una grancia, termine che indica un’azienda agraria con edifici rustici, abitativi, artigianali e i terreni di pertinenza. Questa grancia era posizionata in fondo all’attuale via Morsenchio, ed è esistita sino a metà del secolo scorso. Poi in seguito all’ampliamento dello stabilimento Montecatini, la cascina fu abbattuta insieme alla settecentesca chiesetta che nel frattempo aveva sostituito l’antica chiesa medievale.

Nel censimento del 1751 il borgo risulta avere (comprese le frazioni Case Nove, e Mereggiate) centoventitrè abitanti. Morsenchio nel 1800 si trasforma in Comune con giurisdizione anche su Merezzate e sul territorio del futuro Ponte Lambro. Dopo l’Unita d’Italia, nel 1873 il borgo perde la sua autonomia amministrativa e viene aggregato al comune di Mezzate con sede municipale a Linate. Il 1° Gennaio 1925 Morsenchio e Ponte Lambro sono accorpati a Milano.

L’antica parrocchia, dedicata alla “Beatissima Vergine Maria”, si trovava nel borgo chiamato Morsenchino ed era sita proprio di fronte al palazzo di via Bonfadini 89.

Nel 1775 venne consacrata una nuova chiesa, costruita all’esterno dell’enorme Cascina Morsenchio. Una costruzione lunga più di quattordici metri e larga oltre sei, dalle forme semplici e modeste. L’interno ad un’unica navata con volta a botte, era ricco di dipinti, sull’altare spiccava quello della “Madonna Addolorata” con il cuore trafitto da sette spade.

Purtroppo Morsenchio si ritrovò periferia, e come tale, negli anni industriali, cedette i terreni alle industrie, che qui si stanziarono prepotenti anche per la presenza delle ferrovie e del progetto, mai attuato, del Porto di Mare. Così col tempo, la Montecatini e poi Montedison iniziò ad espandersi distruggendo anche quest’affasciante angolo dell’antico borgo, radendolo al suolo, chiesa e palazzi compresi.

Già nel 1953 il Piano Regolatore aveva previsto un forte sviluppo abitativo in quest’area, e conseguentemente la Curia di Milano fece erigere una Cappella provvisoria, la cui dedicazione era stata mantenuta alla “Beata Vergine Addolorata“. Questo edificio, tuttora visibile in via Bonfaldini, venne in seguito adibito a palestra, una volta completata la nuova chiesa definitiva, progettata dall’architetto Enrico Villa.

A partire dagli anni Cinquanta l’area di Morsenchio venne urbanizzata sopratutto con la realizzazione del Nuovo quartiere Morsenchio di edilizia popolare (le palazzine di viale Ungheria 48 e 46), poi il quartiere di viale Ungheria e la stupenda Scuola Primaria Statale “Guerrieri Gonzaga” (nell’omonimo largo, realizzata dal grande Arrigo Arrighetti nel 1961).

Ora sul suo territorio è stato progettato il Quartiere Santa Giulia, il cui masterplan venne redatto nientemeno che da Sir Norman Foster suddiviso in due parti, lato area ex Montedison (lato Morsenchio) e area ex Redaelli (lato Rogoredo), nel mezzo il prolungamento della Paullese e un grande parco pubblico. Il progetto iniziò a prender forma tra il 2010 e 2011 nel settore di Rogoredo, ma venne bloccato per indagini sullo smaltimento delle scorie industriali e inquinamento della falda acquifera sottostante. Dopo oltre un decennio di blocco parziale, l’iter burocratico e giudiziario pare sia giunto ad una svolta. Il quartiere sorgerà nelle aree un tempo della Montedison con nuovi progetti e nel frattempo sono in fase di realizzazione i lavori per l’Arena Olimpica da consegnare per il 2026.

Rogoredo

Il nome Rogoredo ha origini antiche e deriva dal latino tardomedievale robur, rovere, a significare “bosco di roveri” (evoca un luogo ben più romantico, no?), una denominazione di origine botanica che troviamo spesso in altri luoghi cittadini come nei quartieri di Lorenteggio (lauro) o Nosedo (noce).

Oggi del bosco è rimasto ben poco, anzi, negli ultimi anni questo “bosco” si è trasformato in sinonimo di degrado col famoso Boschetto di Rogoredo, luogo di spaccio e malavita che si trova sempre nella zona (il Comune sta portando avanti insieme a Italia Nostra un progetto di risanamento che sta dando finalmente buoni frutti).

Rogoredo era un’antica pieve passata sotto il governo di diversi comuni della zona, come San Donato, poi Nosedo e Chiaravalle, non ultimo Morsenchio, per poi finire il 9 settembre 1923, come altri comuni limitrofi nella grande Milano.

Nel 1863 il piccolo nucleo di casupole sorte attorno alla cascina Rogoredo venne stravolto dalla costruzione della ferrovia Milano Piacenza e Milano Genova che da questo punto si biforcarono. Qui viene realizzata anche una stazione ferroviaria che demolì la vecchia cascina.

Nel 1880 viene costruita la linea di tramway privata tra Milano Porta Romana e Lodi città, naturalmente con fermata alla stazione di Rogoredo.

Rogoredo conobbe a partire dalla fine dell’Ottocento un processo di industrializzazione con l’insediamento di uno stabilimento per la lavorazione dell’acciaio, le famose Acciaierie Redaelli. Sempre nella stessa zona, presso la Cascina Morsenchio, sorsero altre industrie, specialmente chimiche.

Dopo la chiusura delle industrie sul finire del ‘900, il quartiere cadde in una fase di forte degrado. Oggi è rinato, in parte, grazie all’arrivo dell’attiguo quartiere di Santa Giulia (coi suoi mille problemi di sviluppo immobiliare sopra citati) e sopratutto con l’arrivo del complesso industriale e di uffici di nuova generazione che fra essi vede il quartier generale di Sky Italia.

Ponte Lambro

Dove oggi si trova l’agglomerato di Ponte Lambro un tempo vi era un territorio esclusivamente agricolo, ricco d’acque, irrigato da canali gestiti dai monaci dell’ordine degli Umiliati insediati nella vicina abbazia di Monluè. All’epoca imperiale romana venne realizzato un ponte di legno che permetteva alla strada per Paullo di superare il fiume Lambro, segnando l’importanza del luogo.

Ancora alla fine dell’Ottocento, l’area coincideva con il terreno dei due grandi poderi detti Canova e Zerbone, sui quali sorgevano antiche cascine e mulini: la “Cascina Zerbone” (XIV secolo), poco distante il “Mulino della Spazzola” (XIII secolo) situato sulla roggia omonima, e la “Cascina Canova, o Casanova” (XVII secolo). Originariamente sottoposti alla giurisdizione civile ed ecclesiastica della Pieve di San Donato, i due poderi erano amministrati da sempre dal comune di Morsenchio, prima di essere annessi col Risorgimento al comune di Mezzate, che nel 1916 divenne Linate al Lambro, vista la continua crescita del numero dei suoi abitanti: la gran parte, infatti, si concentrava in quella fetta di territorio che prese il nome di Ponte Lambro.

Nel 1922, a seguito di alcuni espropri per la realizzazione del Porto di Mare e del canale Milano-Cremona-Po, mutarono i confini territoriali del comune di Linate al Lambro: le frazioni di Ponte Lambro e Morsenchio furono aggregate al comune di Milano, e i confini vennero ridefiniti spostando più a sud il limite del territorio milanese, sottraendo anche una piccola porzione del comune di San Donato in fondo all’abitato di Ponte Lambro, dove si trova Triulzo Superiore. Il tutto, però, rimase sulla carta, e soltanto il 1º gennaio 1925 divenne definitiva l’aggregazione di Ponte Lambro e Morsenchio a Milano, mentre il progetto del porto non ebbe seguito e il canale non venne mai realizzato. Il comune di Linate al Lambro perse, oltre ad una buona fetta del suo territorio, la metà della popolazione, passando da 3931 a 1914 abitanti.

Oggi, Ponte Lambro, è un quartiere periferico di Milano, sicuramente più vivibile in confronto a trent’anni fa, quando gareggiava con Corvetto, San Siro, il Giambellino e Quarto Oggiaro come peggior luogo dove vivere. Via Guido Ucelli di Nemi è l’arteria principale, mentre la Chiesa Parrocchiale del Sacro Cuore in Ponte Lambro, una costruzione moderna, realizzata nel 1964 su progetto dell’architetto Guido Maffezzoli, si affaccia su un ampio spazio con giardino e la si può considerare il cuore del “borgo”. Da anni comunque, il Comune tenta di risanare le vecchie case popolari, con un progetto di Renzo piano, che però rimane bloccato da anni.

A Ponte Lambro si trova anche uno dei ristoranti più antichi di Milano e d’Italia, Il Bagutto (forse il più antico in assoluto, ma come si sa non ci giureremmo). Anche se esternamente non fa pensare a qualcosa di antico, l’edificio con osteria/trattoria si trova lungo la paullese sin dal 1284.

Referenze immagini: Roberto Arsuffi; Google; lagrandemilano.it; Il Cielo Sopra Milano; Milano Sparita

Fonti: lagrandemilano.it; Il Cielo Sopra Milano; Milano Sparita; “Milano il patrimonio dimenticato” di Roberto Schena; “Le Strade di Milano”, Newton Peridici 1991; “Le Chiese di Milano”, Ponzoni 1929; Lombardia Beni Culturali; Skyscrapercity

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